Quando la Medicina orientale e la Medicina occidentale si incontrano: i punti Trigger e i punti Ashi.

Esperto Marco SollevantiAnestesia, Agopuntura • 5 settembre 2016 • Commenti:

Punti Trigger (PT) o "Trigger Point"

La definizione di Punti Trigger (PT) o "Trigger Point" fu introdotta nel 1952 dalla Dott. ssa Janet Travell (1901-1997), nonostante il concetto avesse acquisito notorietà da almeno un secolo.

La dott.ssa Travell ed il dottor Simons (1922-2010) dedicarono tutta la loro vita allo studio ed alla diffusione delle nozioni relative ai Trigger points ,lasciandoci le opere più professionali e complete in tale ambito: “Myofascial Pain and Dysfunction” e “The Trigger Points Manual”.

Questa fu la loro definizione di punto trigger:

Un punto trigger miofasciale è una zona iperirritabile all’interno di una bandelletta contratta di un muscolo scheletrico, localizzata nel tessuto muscolare e /o nella sua fascia. La zona è dolorosa alla compressione e può evocare un caratteristico dolore proiettato a distanza, attivare il sistema nervoso autonomo, alterare il sistema propriocettivo”.

Punti trigger e sindrome dolorosa miofasciale

I punti trigger sono responsabili della sindrome dolorosa miofasciale che comprende un vasto ed eterogeneo gruppo di patologie muscolari, che si presentano con dolore muscolare continuo, associato a contrattura, limitazione funzionale e occasionalmente a sintomi di natura nevralgica, come disfunzione vegetativa, parestesie e formicolio. 

La sindrome dolorosa miofasciale è una condizione patologica frequente (ne soffre circa il 2% della popolazione) e colpisce preferenzialmente, senza esclusione di età, le donne (M/F = 1/9). Tra le affezioni muscoloscheletriche è seconda solo all’osteoartrosi.

Punti trigger miofasciali: a quali altri disturbi si associano

Diversi studi hanno dimostrato inoltre che i punti trigger miofasciali si associano frequentemente a numerose altre condizioni cliniche dolorose, tra cui:

  • emicrania,

  • cefalea tensiva,

  • algodisfunzione temporomandibolare,

  • cervicalgia,

  • dolore di spalla,

  • epicondilite,

  • sindrome del tunnel carpale,

  • mal di schiena,

  • dolore pelvico

  • sindrome da colpo di frusta 

Come si dividono i punti trigger?

I punti trigger miofasciali si distinguono in:

  • ATTIVI

  • LATENTI

I punti trigger attivi sono quelli che determinano dolore sia a riposo che durante i movimenti attivi o passivi in zone topografiche precise, limitano l’elasticità delle fibre e causano un ridotto allungamento del muscolo, che si ripercuote sul range articolare.

Essi possono ridurre anche la forza muscolare senza andare ad incidere sul tono, inoltre  possono provocare  parestesie, formicolio, lacrimazione, sudorazione e sonno disturbato.
In molti casi il dolore notturno è il classico dolore riflesso della sindrome miofasciale e che invece viene confusa con cause relative altre problematiche.

Ogni singolo punto trigger attivo proietta il dolore in una precisa zona topografica del corpo che è uguale per tutti i soggetti.

La disattivazione del punto trigger attivo porta alla scomparsa immediata dei sintomi.

Il punto trigger latente ha le stesse caratteristiche di un punto trigger attivo, ma non produce alcun dolore irradiato durante il movimento attivo o passivo, però può scatenare la sintomatologia riflessa nel momento in cui viene palpato o sollecitato.

Un punto trigger latente si trasforma in attivo a seguito di moltissime cause e stimoli, però è possibile ottenere, attraverso terapie manuali e strumentali idonee, anche l’inversione dello stato irritativo e cioè riportare un punto trigger attivo nella condizione di latenza.

I punti trigger attivi a loro volta si suddividono in :

  • PRIMARI

  • SECONDARI

  • SATELLITE

Il punto trigger primario è un PT latente che viene attivato.

Esso è considerato a tutti gli effetti il capostipite, cioè a seguito dell’ irritazione delle bandellette contratte, determina i principali sintomi del dolore, sia a riposo che in fase dinamica.
Il dolore e l’ accorciamento delle fibrille sono, di conseguenza, responsabili della limitazione funzionale.
L’ attività di un punto trigger primario può coinvolgere altre bandellette contratte scatenando e coinvolgendo altri punti trigger latenti, che si possono a loro volta trasformare in attivi,  determinando così i punti trigger secondari o satelliti.

Il punto trigger secondario è un punto trigger attivato dal primario e si trova all’interno dei muscoli agonisti o antagonisti rispetto  quello primario.
Anche questo può  determinare la sintomatologia notturna, a riposo e durante le mobilizzazioni attive/passive.

Il punto trigger satellite è quel punto trigger latente che si trasforma in attivo, perché si trova all’interno della zona topografica del dolore riflesso prodotto da un punto trigger primario, quindi possiamo dire che l’elemento scatenante la trasformazione è il dolore.

Attualmente si conoscono circa quattrocento punti trigger in tutto il corpo, e si distribuiscono secondo una mappatura topografica ben precisa e ormai ben conosciuta.

Come vengono attivati i Punti Trigger?

L’attivazione dei punti trigger è spesso causata da sovraccarichi importanti (es. sollevamento di un oggetto molto pesante) o più lievi ma ripetuti (es. pulizie  di scaffali, vetri, tapparelle, ecc.), da esposizione al freddo, da traumatismo diretto o indiretto, da atteggiamenti posturali scorretti, dalla richiesta di prestazioni muscolari eccessive o dalla concomitanza di due o più di questi fattori.

Un punto trigger attivo acuto riesce a disattivarsi anche da solo attraverso il riposo, il calore, riduzione dei carichi o movimenti dolci, mentre quelli cronici difficilmente riescono a  disattivarsi da soli, ma hanno bisogno di mezzi esterni (terapia fisica o farmacologica) per poter ritornare nella condizione di latenza.

 I Punti Trigger: procedura del “Dry Needling”

Janet Travell attorno agli anni ’50 ideò un trattamento clinico che consiste nel trapassare il punto trigger con un ago preferibilmente iniettando al tempo stesso una soluzione di anestetico locale.


Questo metodo venne chiamato “Dry Needling” ed è tutt’ora un'alternativa efficace al trattamento manuale dei Punti trigger (PT).

Nel Dry Needling sii inserisce con precisione un ago sterile e monouso nei PT, la cui area è stata preventivamente disinfettata e lo si mantiene in situ per 1-2 minuti: in tal modo diminuisce la tensione muscolare, migliora la circolazione locale e si riduce l'infiammazione del tessuto.

Vari studi hanno dimostrato che non serve iniettare una sostanza farmacologica, ma è sufficiente inserire un ago nel punto. Per questo si è creato il termine di "puntura secca".
A ben vedere assomiglia molto all’agopuntura, ma non è l’unica somiglianza. Vediamo perché...

Cos’è un Punto Ashi

Nella Medicina Tradizionale Cinese i punti Ashi sono punti locali che non sempre coincidono con i punti codificati lungo i classici meridiani di agopuntura, ma che risultano spontaneamente dolorosi o particolarmente sensibili alla pressione; ci indicano la sede dell'ostruzione del flusso del qi (energia vitale) e sono di estrema utilità nel trattamento del dolore muscolare.

Il nome sembra derivare dal dialetto Wu, che ha diviso la parola Ashi in "A" come l'urlo dei pazienti e Shi (sì), come la conferma del punto doloroso nel corso del trattamento.


Il punto Ashi come entità autonoma è stato per la prima volta introdotto nel manoscritto “Beiji Qianjin Yaofang” (Formule importanti per l’ emergenza del valore di mille pezzi d’oro) scritto da Sun Si-miao durante la dinastia Tang (618AD-907AD):


"C'è un metodo Ashi. Quando le persone presentano una malattia o avvertono dolore, il medico dovrebbe pizzicare e premere sulla superficie del paziente. Se il punto è proprio sopra la malattia, il punto viene chiamato 'Ashi', indipendentemente dal fatto che si tratta di un punto terapeutico o no. Applicando l’agopuntura o la moxibustione su di esso si ottiene un effetto terapeutico efficace".

Pertanto, il metodo Ashi era già un metodo di trattamento popolare tra gente comune almeno duemila anni fa, durante la dinastia Tang. Tuttavia, la sua storia può essere fatta risalire ancora più indietro nel tempo.

Nell'antico classico della medicina cinese “Huangdi Neijing” (Canone di Medicina Interna dell'Imperatore Giallo), è stato menzionato un principio di trattamento del tutto simile al metodo Ashi, chiamato "la sensibilità come punto terapeutico".

L'agopuntura e la moxibustione sui punti ashi sono state utilizzate quindi per migliaia di anni nei paesi asiatici orientali per la gestione di vari disturbi legati al dolore muscolare.

Il punto d’incontro tra PT e Ashi

Travell e Simons nel loro libro hanno documentato 255 punti trigger distribuiti in 147 muscoli del corpo umano. Questi punti trigger sono di solito punti dolorosi con una superficie di 1-2cm sui muscoli scheletrici, e le loro posizioni esatte possono variare da individuo ad individuo.

Rispetto ai 361 punti di agopuntura sui meridiani ben documentati nei classici dell'agopuntura, i 255 punti trigger rappresentano circa i due terzi dei punti terapeutici tradizionali.


All'inizio del 1977, Melzack e colleghi hanno confrontato le posizioni, le indicazioni sulla gestione del dolore e i percorsi di trasmissione dei punti trigger e dei punti terapeutici tradizionali e hanno rivelato una somiglianza del 71% tra questi due tipi di punti.


Più tardi, Dosher ha utilizzato un software di anatomia per mappare e confrontare i 255 punti trigger con i 747 punti terapeutici tradizionali (sui meridiani e extra), e ha scoperto che il 92% dei punti trigger anatomicamente si sovrappongono con punti terapeutici tradizionali.

E’ tutto chiaro? Punti trigger e punti ashi in buona parte coincidono: sono come le due facce di una stessa medaglia e vengono utilizzati in modo simile nel trattamento di numerose sindromi dolorose.

E’ incredibile come due mondi così diversi tra loro dal punto di vista filosofico, culturale e scientifico raggiungano indipendentemente e per vie diverse le stesse conclusioni scientifiche nella diagnosi e nel trattamento di alcune patologie dolorose.

Il motivo, forse, è semplice: la curiosità scientifica, l’osservazione clinica, l’intuito, il desiderio di riprodurre degli effetti terapeutici sono concetti universali delle scienze mediche e della professione medica, a prescindere dalle latitudini e dai credi religiosi o filosofici.

Esperto

Marco Sollevanti anestesista, agopuntore, omeopata Dott.

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