Il gusto: semplice abitudine o questione di geni?

Nutrizione • 22 marzo 2017 • Commenti:

La scienza oggi riconosce ufficialmente 5 gusti percepibili dalla nostra bocca: dolce, salato, amaro, acido e umami. Se l’amore per il dolce è innato, come dimostrano studi condotti sui neonati, così come il gusto saporito tipico della carne (il cosiddetto umami), non si può dire lo stesso dell’amaro, tipico di molti cibi che fanno bene alla nostra salute. Negli anni, molte ricerche hanno provato a capire i meccanismi chimici e biologici alla base di quello che in inglese viene chiamato “broccoli problem”, cioè la percezione più o meno acuta del gusto amaro e la conseguente repulsione per gli alimenti con questo specifico sapore.

Come si percepisce il gusto?

La percezione di ciò che stiamo mangiando ci viene fornita dalle papille gustative, dei piccoli recettori che tappezzano la nostra lingua. Quando mangiamo, il cibo entra in contatto con questi piccoli bottoncini. Diversamente da quanto si pensava fino a qualche anno fa, le oltre 8.000 papille gustative non sono specifiche per un solo gusto, ma sensibili a vari stimoli gustativi. All’interno di questi recettori, si trovano piccole cellule specializzate che riconoscono il gusto specifico, lo convertono in un’informazione chimica e la trasmettono al nostro cervello, che rielabora l’informazione e ci dà la percezione del sapore. Tutto questo processo, estremamente complesso, avviene in pochi millisecondi. È il nostro cervello quindi (ed in particolare alcuni neuroni specializzati), che ci permette di percepire il sapore dolce delle fragole o quello tipico di una buona bistecca, ma anche i gusti meno piacevoli, come quelli di un piatto troppo salato, di uno yogurt scaduto o il succo aspro e pungente del limone. La percezione dei sapori e del loro gusto può poi cambiare notevolmente con lo stato di salute, come tutti possiamo notare quando abbiamo il raffreddore, e anche con l’avanzare dell’età, che porta ad una riduzione generale della sensibilità ai gusti.

Il gusto “amaro”: un rapporto di amore e odio dettato dai geni

Varie ricerche hanno dimostrato che il rifiuto per il gusto amaro è presente già nei neonati. Sono infatti pochi i bambini che mangiano volentieri le verdure, alimenti con una tipica nota amara di fondo; tuttavia, con la crescita, molti adulti cambiano i loro gusti e iniziano ad apprezzare questo sapore particolare. Oggi gli scienziati sono arrivati a scoprire alcuni geni del nostro DNA responsabili della risposta al gusto amaro.

Per comprendere questa relazione tra geni e gusto è importante capire come lavora il nostro DNA: ciascun gene deve essere tradotto dalle nostre cellule in un piccolo filamento detto RNA messaggero (mRNA) che, come suggerisce il nome, fa da intermediario tra il DNA contenuto nel nucleo cellulare e i ribosomi, le fabbriche in cui vengono prodotte le proteine e che andranno a formare i recettori per i gusti (tra cui le papille gustative della nostra lingua).

Nel mondo, la maggior parte delle persone presenta lo stesso insieme di geni per il gusto amaro, tra cui il più studiato è il gene TASR38. La differenza principale che porta ad avvertire un sapore come più o meno amaro, influendo così sul nostro gusto, è il modo in cui viene tradotto questo gene. Studi recenti hanno evidenziato che è proprio la quantità di RNA messaggero prodotto che fa la differenza: le cellule gustative delle papille non producono la stessa quantità di mRNA in tutte le persone. Più “messaggeri” vengono prodotti, più la persona è sensibile al gusto amaro.

Questa scoperta molto recente lascia ancora aperti molti punti interrogativi: come mai alcuni individui producono quantità diverse di mRNA? Questa produzione può variare con l’età o con altri cambiamenti fisici?

Ad oggi non ci sono risposte a queste domande, ma una cosa è certa: se non amate i broccoli, la colpa non è vostra, ma dei vostri geni!

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