I fantasmi nella stanza dei bambini: come il passato dei genitori può influenzare il presente dei figli - tratto da Selma Fraiberg

Esperto Manuela D'OstilioPsicoterapia, Psicologia • 3 ottobre 2016 • Commenti:

Nel passato di ogni bambino ci sono dei Fantasmi. Sono i visitatori inattesi del passato non ricordato dei genitori, che sembrano far danno secondo un piano storico o tematico, specializzandosi in aree quali alimentazione, sonno, controllo sfinterico o disciplina, a seconda della specifica vulnerabilità del passato dei genitori.

Il bambino di queste famiglie è gravato dall’oppressivo passato dei suoi genitori fin dal suo ingresso nel mondo. Non sappiamo cosa fa sì che i conflitti dei genitori vengano ripetuti con il figlio.

Del resto, la maggioranza di persone che ha conosciuto sofferenza, trova nuova vita e la guarigione dal dolore subito nell’infanzia, nel mettere al mondo un bambino.

Ci sono casi, però, in cui gli intrusi rivendicano la loro residenza nel presente delle nuove famiglie, casi in cui le storie di trascuratezza e di abbandono di un genitore viene fatta rivivere psicologicamente con il proprio figlio.

Come evitare che il passato del genitore si riversi su un figlio

È opportuno  intervenire in aiuto alle famiglie con più fasi di trattamento. Nel primo periodo di emergenza è il bambino che dev’essere al centro del trattamento.

Spesso per aiutare il bambino e scacciare i fantasmi dalla sua stanza è necessario aiutare il genitore a vedere la ripetizione del passato nel presente. Il terapeuta deve dargli il permesso di sentire e di ricordare i propri sentimenti e quindi di parlare delle proprie sofferenze infantili.

L’evocazione dei fantasmi del passato: il terapeuta e il transfert negativo

La psicanalista Selma Fraiberg ricorda: “Il genitore che non può ricordare i propri sentimenti infantili di dolore, impotenza e angoscia avrà bisogno di infliggere il proprio dolore al bambino”.

Possiamo prevedere però che, lavorando nel regno dei sentimenti sepolti, il terapeuta che evoca i fantasmi sarà dotato nel transfert degli spaventosi attributi del fantasma: il transfert è spesso negativo.

È possibile che si manifesti la resistenza di transfert, se il paziente ad un certo punto sbrarra la porta al terapeuta: con l’emergere dei ricordi dei terrori vissuti nell’infanzia, emergono anche i terribili affetti originari, per cui il terapeuta può diventare il rappresentante di paure innominabili. L’importanza di capire tutto ciò per il terapeuta è sapere che gli offre una misura di controllo nel controtransfert.

La soluzione del problema, del resto, sta nella resistenza di transfert: l’esplorazione del transfert negativo col paziente può prevenire ulteriori passaggi all’atto..Il paziente può man mano imparare che può sentire certi sentimenti negativi e riconoscerli, senza che il terapeuta faccia ritorsioni o possa abbandonarlo.

Talvolta si riscontra l’isolamento dell’affetto: è presente il ricordo degli spiacevoli avvenimenti passati, ma in maniera fredda e distaccata. Per questo bisogna  sottolineare come sia importante raccontare non la storia in sé per sé, ma l’inespresso che viene tenuto separato dai ricordi.

L’insight può essere allora impiegato in un modo che prevenga ulteriori passaggi all’atto. Con il permesso di esprimere sentimenti dolorosi come l’abbandono e la rabbia, lentamente questi possono essere rivissuti e messi nella prospettiva adeguata  così che il genitore possa porsi in relazione con la sua propria famiglia in maniera meno conflittuale; quei sentimenti potranno così appartenere al passato, ad altre figure.

Può accadere che chi ha vissuto tormenti a causa di persone care e familiari metta in atto l’identificazione con l’aggressore: la paura delle figure genitoriali della sua infanzia può portare la persona sofferente ad identificarsi con le loro terribili caratteristiche.

Quando però viene offerto il permesso di ricordare la propria sofferenza, l’ammalato riesce a smettere di infliggere ad altri il proprio dolore.

L’identificazione con l’aggressore: patogenesi della difesa

Dall’esperienza psicoanalitica sappiamo che la patogenesi della difesa conosciuta come identificazione con l’aggressore è angoscia e impotenza di fronte agli aggressori.

In questa difesa è presente una forma di rimozione che dà motivo ed energia alla sua ripetizione; a venire rimosso è il ricordo dell’esperienza affettiva associata ad eventi di abuso, violenza e abbandono subiti nell’infanzia che spesso vengono invece ricordati in espliciti dettagli. Non vengono ricordati il terrore e l’impotenza insiti nell’esperienza di subire un abuso e di essere abbandonati.

Gli affetti originali sono soggetti a rimozione.

Il lavoro terapeutico consiste nel far rivivere questi affetti e nel farli sperimentare nella sicurezza della relazione con il terapeuta.

Con la possibilità di rivivere la sofferenza infantile insieme ai ricordi, ogni paziente può non avere più il bisogno di infliggere i propri dolori a sé stesso e ai propri cari.

L’accesso al dolore infantile, per non ripeterlo mai più in futuro

Quando si riesce a dissolvere l’identificazione patologica con il genitore che ha causato dolore ricordando gli affetti rimossi, si può scampare alla cieca ripetizione di un morboso passato.

Se quindi, la rimozione non è totale (è possibile il ricordo), il paziente nel ricordare si identifica con il Sé infantile che è il bambino ferito, mentre se il genitore non ricorda può trovarsi in un’alleanza e identificazione patologica con le figure terrorizzanti del passato.

In questo modo, il passato del genitore viene inflitto al bambino.

La chiave della storia dei fantasmi sembra stare nel destino subito dagli affetti dell’infanzia.

L’accesso al dolore infantile diventa una potente arma contro la ripetizione quando si diventa genitori. La rimozione e l’isolamento di un affetto doloroso offrono invece i requisiti psicologici per l’identificazione con gli aggressori.

Note:

  1. C’è un momento all’inizio di ogni caso, in cui viene rivelato dal paziente qualcosa che parla del proprio conflitto.

  2. È stato più volte preso in considerazione se le terapeute donne siano più avvantaggiate nel lavorare con madri che hanno subito loro stesse gravi deprivazioni materne. La risposta della Fraiberg è “non necessariamente, a volte per niente”.

Esperto

Manuela D'Ostilio psichiatra, psicoterapeuta Dott.ssa

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